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A proposito di farmaci e non solo...

Fascicolo 1 - Marzo 2025

Clodronato: un farmaco polivalente nelle patologie osteoarticolari

Authors

Key words: clodronato, bifosfonato, osteoporosi, artrosi, BME, condropatia
Publication Date: 2025-04-24

Abstract

Il clodronato (CLO) si differenzia dagli altri bifosfonati (BP) per la sua peculiare struttura chimica. Ha un uso clinico molto versatile in varie malattie, grazie alla bassa affinità per l’idrossiapatite, può essere rimosso dall’osso anche dopo brevi interruzioni terapeutiche esercitando un’azione inibitoria più profonda sull’apoptosi degli osteociti, contribuendo così a mantenere una buona struttura ossea compatta. Per quanto riguarda l’osteoporosi, il CLO esercita un’attività simile a quella dei farmaci della stessa categoria nei confronti delle fratture vertebrali e non vertebrali. L’attività antinfiammatoria del CLO è legata, almeno in gran parte, all’inibizione dell’attività dei macrofagi e, in modo simile, dei neutrofili e dei linfociti; l’azione sui cheratinociti è di notevole importanza per promuovere la guarigione delle ferite della mucosa buccale; la mancata guarigione è un indice prognostico di osteonecrosi da bifosfonati. L’effetto analgesico è dovuto alla riduzione del turnover osseo, al minore abbassamento del pH locale e alla stimolazione dei recettori sensibili, interferendo con le vescicole sinaptiche. Il segnale purinergico gioca un ruolo essenziale nel dolore neuropatico grazie alla sua attività sui neuroni primari, secondari e gliali. Infine, il CLO esercita un effetto anabolico sui condrociti aumentando la sintesi di proteoglicani e collagene.

Introduzione

La storia del clodronato (CLO) parte da molto lontano con le iniziali conoscenze dei polifosfati e della loro proprietà di inibire la precipitazione del carbonato di calcio dalle soluzioni 1. Dopo alcuni anni alcuni ricercatori identificarono nel sale sodico dell’acido pirofosforico (pirofosfato, PPi) 2,3 l’inibitore fisiologico della mineralizzazione. La ricerca si rivolse allora verso sostanze che potessero mimare gli effetti del PPi e portò all’individuazione dei bifosfonati (BP) diversi dal PPi e resistenti all’azione enzimatica, solo per la presenza di un atomo di carbonio (P-C-P) anziché di ossigeno (P-O-P) legato ai 2 gruppi fosfato 4. Tra i primi BP sottoposti a studi in vitro e in vivo, si possono ricordare l’etanidrossi bisosfonato (EHBP) e il CLO (Cl2CBP). Queste due sostanze, oltre ad un altro diverso BP il pamidronato, dettero inizio alla storia farmaco-clinica dei BP. In questo scritto analizzeremo il CLO per le proprietà che lo distinguono dagli altri BP e per il versatile impiego clinico in diverse condizioni patologiche.

Clodronato: profilo farmacologico

Sin dal 1984 dopo l’approvazione all’impiego del CLO nelle osteolisi tumorali, iniziarono anche le valutazioni dell’attività del CLO nel trattamento delle osteoporosi (OP) e più recentemente nell’osteoartrosi (OA) o in patologie caratterizzate da processi infiammatori e dolorosi. Il CLO si caratterizza per un prevalente effetto antiriassorbitivo, ma anche antiinfiammatorio, antalgico e condroprotettivo.

Effetto antiriassorbitivo

Le caratteristiche strutturali rendono il CLO scarsamente affine all’Idrossiapatite ossea e, pertanto, allontanabile dall’osso anche solo dopo brevi interruzioni terapeutiche. Esso si insinua meglio nei canali Haversiani e di Volkmann, esercitando più in profondità un’azione inibitrice sull’apoptosi degli Osteociti e contribuendo a mantenere una migliore struttura dell’osso compatto 5. L’attività anti-osteoclastica del CLO è inferiore a quella degli altri BP, ma l’azione esercitata sull’osso risulta simile agli altri farmaci della categoria, circa la riduzione del rischio di fratture vertebrali e non vertebrali.

Effetto antiinfiammatori

Il CLO rivelava sin dalle prime sperimentazioni anche una notevole attività anti-infiammatoria 6 non correlata all’azione anti-riassorbitiva sull’osso 7. Questa proprietà è legata anche al meccanismo di azione del CLO sugli osteoclasti (OC), diverso da quello degli aminobifosfonati N-BP. Negli OC il CLO viene trasformato in un analogo citotossico dell’ATP (AppCCl2p) con proprietà pro-apoptotiche, senza determinare l’espressione di citochine infiammatorie e può inibire la stessa attività pro-infiammatoria degli N-BP 8. L’attività anti-infiammatoria del CLO è legata, almeno in gran parte, all’inibizione dell’attività dei macrofagi e dei neutrofili, con un duplice meccanismo: dopo essere inglobato nelle cellule è metabolizzato in AppCCl2p con induzione dell’apoptosi cellulare; inoltre il CLO ha la capacità di entrare nelle cellule attraverso i canali dei fosfati (SLC20 e SLC34) presenti sulle membrane7 e di inibire l’ingresso dell’ATP entro le vescicole di trasporto 9.

Occorre infine annotare come il CLO si differenzi dagli N-BP circa gli effetti sui cheratinociti. In uno studio su queste cellule prelevate dal tessuto gengivale umano e coltivate in vitro, gli N-BP hanno indotto un effetto inibitorio sulla motilità e sulla vitalità cellulare, mentre Il CLO è risultato, al contrario, stimolare queste stesse proprietà, ossia la motilità e vitalità di queste cellule 10.

Effetto antidolorifico

Attribuito inizialmente alla sola riduzione del turnover osseo, diveniva poi chiaro che la maggiore attività osteoclastica indotta nel tumore e nel Paget era responsabile di un’aumentata liberazione di idrogenioni nelle lacune di riassorbimento, con conseguente abbassamento del pH locale e della stimolazione dei recettori sensibili (ASIC, TRPV). In tempi recenti, si è potuto individuare anche un ulteriore meccanismo d’azione antidolorifico, che prevede un’interferenza con le vescicole sinaptiche che trasportano dei neuromediatori nelle terminazioni dei nervi nocicettivi e negli spazi sinaptici, interferendo con il trasporto rispettivamente dello ATP e del glutammato. L’attività di questi canali dei fosfati è dipendente dalla presenza e concentrazione di atomi di cloro (Cl-) ed è fortemente inibita dal CLO (Tab. I) 11.

Le minori quantità dei neurotrasmettitori liberate nello spazio sinaptico comportano una minore attivazione dei recettori purinici e di N-metil-D-aspartato (NMDA) con inibizione del sintomo doloroso originato in periferia. Gli N-BP, per espletare un effetto antalgico, possono apparentemente invece contare soltanto sulla capacità di ridurre il turnover osseo e l’acidificazione sub-osteoclastica.

Clodronato e cartilagine

Benché l’impiego nel trattamento dell’OP sia stato l’obiettivo più importante, studi preliminari hanno dimostrato anche effetti del CLO sui condrociti coltivati in vitro, con un effetto anabolizzante per un aumento nella sintesi dei proteoglicani e del collagene 12 con effetto dose-dipendente e con una persistenza dell’effetto per un tempo prolungato nelle coltura. In tempi più recenti, Rosa et al. hanno confermato l’effetto anabolico condrocitario esercitato dal CLO in colture cellulari esposte a concentrazioni di 100 microM di prodotto; l’aumento della sintesi del collagene e dei proteoglicani era rilevante e non era presentato da altri BP utilizzati come confronto, riconfermando questa esclusiva proprietà del CLO 13.

Valenti et al. con un trattamento con CLO 200 mg i.m. in soggetti con OA documentavano la maturazione delle cellule staminali mesenchimali verso la linea condrogenica 14.

Il meccanismo che regola gli effetti condrocitari sembrerebbe dovuto alla migrazione all’esterno del condrocita del metabolita AppCCl2p e, per effetto autocrino, all’attivazione dei recettori purinergici di membrana con conseguente attivazione del condrocita stesso. Per quanto interessante, questo presupposto meccanismo di azione va confermato in ulteriori studi, puntualizzando soprattutto quale possa essere l’effetto sulla vitalità della cellula stessa. Ad oggi è stato dimostrato il coinvolgimento del sistema purinergico nell’omeostasi della cartilagine e nella risposta del condrocita agli stimoli meccanici 15.

Clodronato e osteoporosi

In riferimento alla terapia per l’OP, il CLO non è inserito nella Nota 79 che regolamenta la rimborsabilità dei farmaci anti-osteoporotici. Ciò ha portato, per così dire, a escludere il CLO dalla terapia anti-osteoporotica in prima istanza. Esistono però evidenze cliniche che sottolineano il profilo di efficacia e sicurezza nella prevenzione delle fratture da fragilità.

Già nel 1993 veniva condotto uno studio su donne con OP post-menopausale trattate con CLO orale alla dose di 400 mg/die, assunto per 12 mesi. La BMD vertebrale aumentava in modo significativo rispetto alle pazienti non trattate, in cui la BMD diminuiva peraltro del 2% circa. Questi effetti positivi erano già significativi dopo i primi 6 mesi di terapia 16.

In uno studio in doppio cieco, controllato versus placebo 17 erano valutate per tre anni 593 donne con osteoporosi post-menopausale (N = 483) o secondaria (N = 110), trattate con CLO per os 800 mg/die; si determinava un aumento significativo della BMD vertebrale e femorale rispetto al placebo. Diversi studi hanno valutato poi gli effetti del CLO con somministrazione parenterale. In uno studio comparativo versus il 17-beta-estradiolo transcutaneo (50 μg al giorno) e versus i casi non trattati, il trattamento con CLO 200 mg/mese e.v. per 2 anni era associato ad un aumento della BMD vertebrale rispetto a nessun cambiamento nel gruppo con estradiolo e a una diminuzione nei controlli 18. Un altro studio in aperto aveva valutato i cambiamenti nella BMD in 235 donne con OP postmenopausale, trattate ogni 3 settimane con CLO 200 mg e.v. per sei anni, rispetto a un gruppo di controllo di 183 donne osservate retrospettivamente. I risultati avevano mostrato un aumento significativo della BMD nel primo anno di trattamento; tale effetto veniva mantenuto per sei anni 19. La terapia continua con CLO ha determinato un aumento della BMD vertebrale e femorale, mentre la somministrazione intermittente di CLO è stata associata a un piccolo aumento o ad una mera stabilizzazione della massa ossea. Heikkinen et al. dimostravano che soltanto la dose di CLO 300 mg e.v. aveva contrastato la perdita ossea vertebrale post-menopausale per almeno un anno e fino a due anni nel collo femorale 20.

Celi et al. in uno studio comparativo 21 di due diversi regimi di CLO e.v. (300 mg/ogni due settimane e 100 mg/settimana) somministrati a donne con OP post-menopausale intolleranti agli N-BP, dimostravano che entrambi gli schemi di dosaggio erano stati associati ad aumenti significativi della BMD vertebrale e femorale fino a 24 mesi, con effetti più marcati nel rachide e con la dose da 300 mg/ogni due settimane per 12 mesi.

Clodronato e osteopenia

Alla luce delle conoscenze sull’osteopenia e sulle complicanze fratturative, occorre approfondire il tema dell’osteopenia, verso cui vi è un generale atteggiamento attendista, senza attivare alcun presidio farmacologico, in attesa dell’inesorabile comparsa nel tempo dell’osteopenia.

Esiste in Italia un farmaco, il CLO che nel foglietto illustrativo presenta come indicazione la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi dopo la menopausa.

Quale dunque il ragionamento clinico che deve valorizzare la diagnosi di osteopenia, in funzione di un trattamento preventivo dell’OP e delle complicanze fratturative, considerando che Schuit et al hanno evidenziato come i fratturati di femore nel 52% dei casi avessero avuto la DEXA (Dual Energy X-ray Absorptiometry), con valori normali o di osteopenia 22.

La DEXA è il test diagnostico per l’OP e per il rischio di frattura; con essa si definisce la soglia diagnostica, che non coincide con la soglia terapeutica, poiché altri fattori scheletrici ed extra-scheletrici condizionano la decisione terapeutica per il singolo soggetto.

La tipizzazione del paziente con Osteopenia in ordine al rischio di frattura aumentato richiede la valutazione dei seguenti fattori: a) T-score, b) fattori di rischio, c) rischio di cadute, d) algoritmo FRAX o DEFRA, ossia la proiezione delle fratture a 10 anni. I fattori di rischio hanno assunto un valore sempre più significativo nell’iter diagnostico-terapeutico dell’OP: la menopausa anticipata o la familiarità per fratture di femore, l’ipovitaminosi D, l’utilizzo dei glucocorticoidi o di anticoagulanti, la presenza di malattie concomitanti, l’assenza di attività motoria, il fumo o l’eccessivo consumo di alcool, indipendentemente dal dato DEXA, aumentano il rischio di OP e di frattura. Il rischio di cadute costituisce un elemento decisivo per la valutazione complessiva, sia esso per fattori personali o ambientali. Infine, l’algoritmo FRAX o DEFRA permette di proiettare il rischio di frattura di là del momento valutativo e di decisione e consente di comprendere cosa rischi effettivamente il paziente 23.

Alla luce delle suddette considerazioni clinico-strumentali appare realistico e forse necessario un approccio anche farmacologico, utilizzando il CLO peraltro con indicazione prevista dal foglietto illustrativo del farmaco, la cui posologia prevista è di 200/mg ogni 15 gg, fermo restando la possibilità di attingere anche ad altri BP.

Clodronato e osteoartrosi

L’OA è una patologia flogistico-degenerativa a carico della cartilagine e dell’osso subcondrale; essa deve essere considerata una malattia dell’unità osteocondrale 24. L’osso subcondrale subisce un danno metabolico, definito edema osseo o bone marrow lesion (BML), le cui modificazioni rappresentano un evento chiave, sia nello starting che nella progressione dell’OA. Oggi tale dato ha assunto un sempre più rilevante ruolo clinico-strumentale meritevole di terapia farmacologica. Non sono completamente noti i meccanismi patogenetici; le BML potrebbero essere il risultato di un sovraccarico articolare come ad esempio nelle ginocchia vare 25 al pari del microtraumatismo 26 dove le microlesioni dell’osso trabecolare determinano l’edema osseo e l’aumento del rimodellamento e dell’angiogenesi, generando ipoperfusione ossea e ipossia per ipertensione intraossea da stasi venosa. L’edema osseo ha una precedenza terapeutica, testimoniando una condizione a prevalenza infiammatoria che esclude in prima istanza la viscosupplementazione che troverà indicazione in una seconda fase di cura.

Gli studi di Varenna et al. 27 e di Frediani et al. 28 recentemente hanno valorizzato rispettivamente il neridronato (NER) ed il CLO nella terapia delle BMLs con profili di efficacia e sicurezza sovrapponibili, dimostrandosi armi potenti per la cura della patologia subcondrale-epifisaria.

Nell’artrosi pre-chirurgica la salute dell’osso iuxtarticolare condizionerà poi i processi di osteointegrazione nel post-impianto, in funzione soprattutto della fissazione biologica della protesi 29.

Clodronato e protesi articolari

La protesi articolare sostituisce un’articolazione gravemente degenerata; con le sue proprietà meccaniche, fisiche e di biotollerabilità essa si deve inserire in un contesto anatomo-biomeccanico, disturbando il meno possibile la sede dell’impianto e minimizzando lo stress-shielding delle sollecitazioni30. Tale reazione è condizionata dalla qualità e quantità del tessuto osseo e dalle peculiari sollecitazioni su di esso indotte. Nell’intercapedine osso-protesi, osteoclasti e osteoblasti si attivano e interagiscono con la mediazione delle citochine (BMPs, TGF-â, IL-1, IL-6, M-CSF, VEGF). Il bone-growth di interfaccia si giova di stimoli meccanici controllati per intensità e durata da meccanocettori (integrine), capaci di influenzare la proliferazione cellulare 31. La neoangiogenesi in situ permette la migrazione di elementi mesenchimali indifferenziati, che si differenziano in senso osteogenetico 32 consentendo il processo di ossificazione trabecolare, diretto dalle bone morphogenetic proteins (BMP) in particolare le BMP2 33.

Lo stato metabolico dell’osso peri-protesico va considerato come un continuum fisiopatologico, che parte dall’OA preoperatoria e dalla patologia ossea correlata, passa dal trauma chirurgico e dal decremento della bone mineral density (BMD) post-operatoria e vive quotidianamente nell’interazione osso-protesi. La variabile dinamica e attiva nell’articolazione protesizzata è sempre l’osso.

Il processo di osteointegrazione biologica è preceduto nel post-operatorio immediato da una fase di riduzione della BMD, studiata con la DEXA e correlata al danno chirurgico, all’osso giovane neoformato all’interfaccia e allo stress shielding; tale riduzione oscilla fra il 3% ed il 15% mediamente 34-36. La terapia farmacologica, in particolare, contribuisce a migliorare la stabilità immediata e non inibisce l’immediata osteogenesi periprotesica, incrementando la BMD attorno ai componenti protesici.

Clodronato e protesi da revisione

Nel tempo l’articolazione protesizzata può sviluppare una patologia 37 (loosening), con cedimento del legame osso-protesi all’interfaccia per fattori meccanici e biologici, con sviluppo delle osteolisi correlate alla wear debris disease 38. L’osteolisi è di natura osteo-metabolica, multifattoriale, con cedimento del legame di integrazione osso-protesi 39 basata su una triade di fattori: detriti, micromovimenti e popolazione cellulare, con un secondario processo immunologico. Si attivano sia i macrofagi che gli apteni che, legati alle proteine endogene, assumono caratteristiche antigeniche 40.

Il CLO, in particolare, trova un’indicazione specifica per le sue proprietà antiriassorbitive, antidolorifiche e antiinfiammatorie verso i macrofagi, in particolare, ritenuti gli elementi cellulari protagonisti di tutta la fenomenologia periprotesica 41.Il CLO trova indicazione nella prevenzione della wear debris disease e nella sua terapia, quando essa è in atto. Hilding et al. nel 2000 accertavano nelle protesi di ginocchio con la stereoradiometria che il CLO riduceva la percentuale di scollamento asettico del componente tibiale 42. Negli anni l’impiego sistematico nel post-operatorio dei BP, e del CLO in particolare, contribuiva a contrastare il bone-loss periprotesico, con un incremento della BMD, soprattutto nel primo anno.

Poiché l’osteolisi è il risultato di un’attivazione in senso clastico dei macrofagi e di una maggiore maturazione di osteoclasti, oltre a un’inibizione osteoblastica, l’impiego dei BP e del CLO in particolare previene il bone-loss periprotesico, riducendo quindi la percentuale delle revisioni. Prieto Alambra et al. hanno ben sottolineato l’effetto protettivo dei BP verso l’impianto protesico sia d’anca che di ginocchio in pazienti con OA 43. L’analisi retrospettiva dei Registri protesici degli USA su una popolazione di circa 13.000 pazienti protesizzati ha ben evidenziato un basso rischio di revisione in pazienti trattati con BP per oltre 6 mesi 44. Allo stesso risultato sono giunti Prieto Alambra et al. su una coorte di circa 96.000 pazienti operati del Registro protesico danese circa la riduzione del rischio di revisione delle protesi trattate con BP per oltre 6 mesi 45. L’impiego dei BP trova dunque indicazione nella prevenzione della wear debris disease e nella sua terapia, quando essa è in atto.

CLO e sindrome da edema midollare osseo

Le sindromi da edema del midollo osseo (bone marrow edema, BMES) sono malattie metaboliche dell’osso caratterizzate dall’edema osseo e da un quadro clinico peculiare, in cui il dolore prevale con altri sintomi correlati e una prognosi generalmente favorevole.

Le BMES includono l’osteoporosi transitoria dell’anca (OTA) e l’osteoporosi migratoria regionale (OMR). La sindrome algodistrofica o complex regional pain syndrome (CRPS tipo 1), nonostante le peculiarità cliniche e le caratteristiche prognostiche e terapeutiche, può essere inclusa in questo capitolo, perché condivide la fisiopatologia, la risposta terapeutica ai BP e un imaging comune (spesso con errata interpretazione).

L’OTA è una malattia rara e benigna che si manifesta radiologicamente con osteopenia del femore prossimale e che tende a risolversi spontaneamente entro pochi mesi. È stata descritta per la prima volta in 3 donne incinte con dolore all’anca e evidenza radiologica di demineralizzazione, spontaneamente risolta dopo il parto 46. Il quadro clinico può insorgere improvvisamente o gradualmente con dolore che aumenta sotto carico e si riduce con il riposo, senza deficit di movimento. Circa il meccanismo patogenetico, un insulto ischemico di diversa gravità potrebbe indurre ipossia che porta a BME transitorio o esitare in anossia irreversibile del midollo potendo generare peraltro un’osteonecrosi.

L’OMR si manifesta con artralgia inizialmente localizzata in una singola sede e poi con carattere migratorio, con manifestazioni di dolore abbastanza simili e ricorrenti e con intervallo di tempo tra gli episodi variabile da 2 a 12 mesi. L’evidenza patogenetica e radiologica è la stessa della OTA con la tipica caratteristica migratoria che orienta verso la diagnosi di OMR47.

La sindrome algodistrofica o CRPS 1 è una condizione dolorosa regionale, multi-sintomatica, più spesso localizzata nei segmenti distali degli arti (mano-polso, caviglia-piede), con dolore severo, allodinia, iperpatia, a distribuzione regionale, con limitazione funzionale e segni locali quali edema, alterazioni vasomotorie, rigidità e danni al metabolismo osseo, con esiti distrofici e atrofici. È quasi sempre secondaria a un trauma e presenta, come caratteristica principale del sospetto, un dolore sproporzionato rispetto all’entità del fattore scatenante, quali fratture (45%), distorsioni (18%) e interventi chirurgici (12%). La neuro-flogosi è il cardine della patogenesi 48.

La terapia delle BMES si avvale dei BP ed in particolare del CLO e del NER, in termini di efficacia e sicurezza. Negli anni ’80 e ’90 l’unico presidio terapeutico per la CRPS 1 era stato prevalentemente il CLO, con protocolli terapeutici non standardizzati, ma affidati alla sensibilità clinica dello specialista e all’entità algico-obiettiva del singolo paziente. Circa l’utilizzo del CLO vanno ricordati i contributi di Varenna et al. e di Frediani et al.

Nel 2000 Varenna et al. consacravano il ruolo terapeutico del CLO con uno studio in doppio cieco versus placebo, in 32 pazienti, a dosaggi di 300 mg/die endovena per 10 gg, ripetibili nei mesi successivi49. Nel 2015 Frediani et al. proponevano uno schema di terapia per la CRPS 1 con CLO 200/die per 10 gg seguito da CLO ogni 2 gg per 20 gg per un totale di 4 gr/mese 50. All’utilizzo ultraventennale del CLO, già dal 2013 si associava il NER, grazie sempre a Varenna et al. che in due studi in doppio cieco (validi come trial registrativi) acquisivano l’indicazione sul foglietto illustrativo per la terapia della CRPS1, rispettivamente per via endovena e per via intramuscolare 51,52.

Gli stessi Autori (Varenna et al.) nel 2015 avevano presentato uno studio registrativo doppio cieco randomizzato versus placebo per l’impiego del NER e.v. nell’edema osseo del ginocchio artrosico 53. Il confronto fra le curve di miglioramento del dolore nei due studi di Varenna et al. rispettivamente con CLO e NER endovena nella terapia della CRPS 1 avevano dimostrato la pressocché totale corrispondenza di efficacia. Frediani et al. in uno studio del 2020 controllato e randomizzato i.m. con CLO 200 mg/die per 15 gg consecutivi e poi 1fl/settimana per 11,7 mesi successivi documentavano un successo terapeutico in ordine alla guarigione dell’edema osseo del ginocchio e alla significativa riduzione della sintomatologia dolorosa54. Occorre sottolineare come Varenna et al. nel 2017 in un’analisi retrospettiva sull’impiego di tre BP (CLO, NER, PAMIDR) avessero concluso circa l’equivalente efficacia dei tre farmaci, a suggellare quanto oggi costituisce il dettato scientifico circa l’impiego dei BP nelle BMES 55.

Clodronato in off-labell

Avendo il NER acquisito con studi registrativi l’indicazione da riportare sul foglietto illustrativo per la terapia della CRPS1, viene in rilievo il tema della prescrizione per l’edema osseo e per la CRPS 1 del CLO come farmaco “off-label”, ossia di un farmaco prescritto per indicazioni o secondo modalità diverse da quelle riportate nell’autorizzazione sul foglietto illustrativo.

Con l’articolo 3 com.2 del DL 23/1998 l’uso off label di un farmaco è considerato legittimo a condizione che il paziente: a) sia informato sull’uso fuori etichetta del farmaco e su tutte le possibili sue implicazioni; b) presti un valido consenso informato per l’impiego del farmaco proposto, utile alla sua salute; c) sia edotto dallo specialista che il farmaco è noto e conforme al lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale; d) sia informato che la prescrizione off label del farmaco è sorretta da dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase due. Nello stesso senso anche l’articolo 13, co 7 del Codice di Deontologia Medica sancisce la possibilità per il medico di prescrivere farmaci in off-label 56.

Orbene in tale contesto normativo non può dubitarsi della sicura possibilità di prescrivere legittimamente in off label i BP ed in particolare il CLO nel trattamento farmacologico della CRPS1 rispetto al NER che possiede in maniera esclusiva il carisma della registrazione specifica per la CRPS1. Peraltro, l’impiego diffuso negli ultimi anni del NER nella terapia dell’OP, in assenza dell’indicazione per tale patologia sul foglietto illustrativo (a differenza del CLO) non ha destato alcun allarme, data l’efficacia anti-riassorbitiva della molecola, pur in assenza di uno studio registrativo specifico.

CLO e ONJ

L’osteonecrosi della mandibola (ONJ) è un evento avverso, raro e grave, associato al trattamento anti-riassorbitivo e caratterizzato da necrosi ossea persistente e dolorosa nella regione maxillo-facciale. È stata descritta principalmente in pazienti neoplastici trattati con dosi molto ravvicinate ed elevate di BP; è stata osservata anche in pazienti che ricevono dosi di BP più basse per il trattamento dell’OP 57. Ad oggi la fisiopatologia della malattia rimane in gran parte sconosciuta. Sono stati ipotizzati diversi meccanismi patogenetici, attribuendo la maggiore responsabilità agli N-BP per la più alta attività anti-osteoclastica, la persistenza prolungata degli stessi nell’osso mascellare, l’alto grado di affinità per l’idrossiapatite; rischi maggiori comportano la somministrazione endovenosa, la dose cumulativa, la frequenza di somministrazione, l’infezione post-estrazione dentale, la periodontite post-impianto, oltre ad un effetto tossico diretto sulla mucosa orale degli N-BP 58. Anche per il romosozumab, un anticorpo monoclonale con attività anabolica che lega la sclerostina e aumenta la formazione ossea e diminuisce il riassorbimento osseo sono stati segnalati casi di ONJ 59.

Circa l’incidenza di ONJ è stata operata la distinzione tra i non amino-BP (in particolare il CLO) e gli N-BP, con un più alto rischio di ONJ e un’incidenza maggiore per questi ultimi, con un’incidenza stimata pari allo 0,8-12% dall’AAOMS (Advisory Task Force on Bisphosphonate-Related Osteonecrosis). L’estrazione dentale è considerata il fattore scatenante più comune per ONJ seguita dalla parodontite apicale (13,5%) 60 e dalla parodontite marginale (10,8%) 61.

In sintesi, il CLO differisce da tutti gli N-BP per diverse caratteristiche: ha un’attività antiosteoclastica molto inferiore agli N-BP, ha una bassa affinità per l’idrossiapatite, non esercita alcuna tossicità verso le cellule degli epiteli della mucosa dentale e in particolare verso i cheratinociti, come fanno gli N-BP e quindi non ritarda la guarigione delle ferite nella mucosa buccale 62,63, non presenta l’effetto pro-infiammatorio e necrotico tipico degli N-BP 64.

È possibile dunque sostenere che il primum movens dell’ONJ sia una grave osteomielite, che degenera in necrosi facilitata dagli effetti cellulari degli N-BP e molto probabilmente dall’inibizione localizzata della guarigione della mucosa (attività dei cheratinociti), nonché da un iniziale rallentamento del processo di riparazione delle microfratture, che può consentire lo sviluppo di un fenomeno settico e infiammatorio anomalo 63,65.

Discussione

Il CLO negli anni si è rivelato essere una molecola di grande utilizzo nella patologia osteoarticolare, dotata di grande multi-efficacia, versatilità, tollerabilità, sicurezza. Il CLO rappresenta oggi un caposaldo consolidato nella terapia osteometabolica. Gli effetti terapeutici sull’osso sono comprovati da una ricca letteratura e da studi di efficacia clinica che hanno reso il CLO un insostituibile farmaco.

In conclusione, nonostante i BP siano in generale conosciuti per la proprietà di inibire l’iper-riassorbimento osseo, il CLO, pur condividendo l’affinità per l’idrossiapatite e l’attività anti-osteoclastica, si differenzia da tutti gli altri N-BP per una serie di specifiche attività che lo rendono unico e attivo anche nei confronti di patologie diverse da quella ossea.

La diversa affinità per il tessuto osseo, il differente meccanismo di azione anti-osteoclastica, l’attività anti-infiammatoria ed anti-dolorifica unitamente all’effetto anabolico esercitato sui condrociti rendono il CLO un farmaco importante nel suo genere con la possibilità di essere impiegato anche nel paziente polipatologico e politerapizzato.

Storia

Ricevuto: 3 febbraio 2025

Accettato: 27 febbraio 2025

Figure e tabelle

Effetti Farmacologici del CLO
Anti riassorbitivo CLO, inglobato negli OC, forma un analogo citotossico dello ATP (AppCCl2p) con proprietà pro-apoptotiche.
Anti infiammatorio Non determina l’espressione di citochine infiammatorie, e può inibire l’attività proinfiammatoria degli N-BP.
Inibizione dell’attività dei macrofagi e dei neutrofili.
ATP metabolizzato in AppCCl2p con induzione dell’apoptosi cellulare; il CLO entra nelle cellule attraverso i canali dei fosfati.
Blocco dell’accumulo di ATP entro le vescicole, minore liberazione all’esterno; minore interazione con i recettori purinici della polarizzazione dei macrofagi nel fenotipo M1, della chemiotassi dei neutrofili.
Sui cheratinociti gengivali umani in vitro, il CLO stimola la motilità e la vitalità cellulare inibita dagli N-BP (guarigione delle ferite).
Anti dolorifico Riduzione del turnover osseo.
Minor abbassamento del pH locale e stimolazione dei recettori sensibili.
Interferenza con le vescicole sinaptiche e il loro trasporto dei neuromediatori
Nel dolore neuropatico: attività svolta sia nei neuroni primari e secondari, ma anche per le modificazioni sui neuroni gliali
Condroprotezione Effetto anabolizzante sui condrociti esercitato dal CLO con aumento nella sintesi dei proteoglicani e del collagene
Tabella I. Effetti farmacologici del clodronato.

References

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Authors

Luigi Molfetta - Dipartimento DISC, Scuola di Scienze Mediche e Farmaceutiche, Università di Genova; Centro di Ricerca su Osteoporosi e Patologie Osteoarticolari, Genova

Sergio Rosini - Centro di Ricerca su Biomateriali, Livorno

How to Cite
Molfetta, L., & Rosini, S. (2025). Clodronato: un farmaco polivalente nelle patologie osteoarticolari. Giornale Italiano Di Ortopedia E Traumatologia, 51(1). https://doi.org/10.32050/0390-0134-N1224
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