Abstract
Attorno a sé aveva creato il culto della personalità. Alto di statura, un volto attraente, l’eleganza nel vestire, il portamento signorile. E dietro queste apparenze c’era l’uomo di elevata intelligenza e di cultura vastissima, il carisma e la fermezza di chi sapeva comandare. Vittorio Putti – per quasi trent’anni alla guida dell’Istituto Rizzoli di Bologna e ambasciatore dell’ortopedia italiana nel mondo – era tutto questo; e lui era consapevole di esserlo, lo voleva. Non per niente i suoi collaboratori lo chiamavano “il prence” (il principe), un appellativo che alle sue orecchie poteva solo suscitare compiacimento.
Circondato da questo alone di vanità, tutt’altro che fatua, non disdegnava di farsi fotografare in posa, fissando l’obiettivo con i suoi occhi scuri e lo sguardo penetrante, esibendo in ogni particolare quel contegno e quella raffinatezza che gli appartenevano per natura. E siccome, tra le tante sue virtù, possedeva anche un innato senso artistico e l’amore per il bello, pensò che un ritratto a colpi di pennello potesse dare maggiore risalto alla propria immagine e magari valorizzare la sua collezione di quadri.
L’idea dovette agitarsi per un po’ nella sua testa. Non un ritrattista qualsiasi; ne voleva uno all’altezza, se non il migliore sulla piazza.
E a furia di cercarlo e di inseguirlo, oltrepassò i confini di Bologna e dell’Italia, e andò fino a Londra per trovarlo. Si chiamava Philip de László, origini ungheresi; si era fatto conoscere e apprezzare in varie nazioni d’Europa, prima di stabilirsi in Inghilterra. Nella sua galleria figuravano personaggi illustri, come la famiglia reale della Bulgaria, l’imperatore Francesco Giuseppe I d’Austria, papa Leone XIII (con relativa trasferta a Roma), il principe di Piemonte Umberto II, la futura regina d’Inghilterra Elisabetta II quando ancora era una ragazzina di sette anni.
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